Danno morale: nessun automatismo nella valutazione

Corte di Cassazione, sentenza n. 320 del 19 febbraio 2016

La determinazione – e la relativa quantificazione – del danno morale devono essere oggetto di separata valutazione, non potendo semplicemente venire riconosciute in una frazione e/o una percentuale del danno biologico.

Questo è sostanzialmente quanto statuito dalla terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza del 19 febbraio 2016 (n. 3260/2016): gli ermellini, infatti, ritengono sempre necessario un accertamento caso per caso della sofferenza psicologica patita dal soggetto danneggiato a seguito di un sinistro stradale.

La liquidazione del danno morale, pertanto, non può e non deve tradursi in una mera percentuale del danno biologico in quanto, diversamente, verrebbe a concretizzarsi una duplicazione di risarcimenti per il medesimo pregiudizio.

Nel caso in esame la Suprema Corte, è stata chiamata a dirimere una questione in merito ad una minore quantificazione del danno morale rispetto alla particolare sofferenza subita dal ricorrente per lo “stravolgimento delle abitudini in età giovanissima, in relazione alla vita lavorativa, di relazione, affettiva e sessuale”.

La Corte territoriale aveva erroneamente interpretato il tenore della sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite, le quali già all'epoca avevano stabilito che la liquidazione del danno morale non deve avvenire, automaticamente, come percentuale al danno biologico, altrimenti si rischierebbe una duplicazione risarcitoria, e che è sempre necessario effettuare una valutazione caso per caso dell’esistenza del pregiudizio subito nonché della sofferenza psicologica patita: pertanto, il danno morale soggettivo non può configurarsi quale conseguenza immediata e diretta dell’intensità della lesione psicofisica e non può nemmeno venire ridotto ad una semplice percentuale del danno biologico. Gli ermellini hanno ritenuto che i giudici dell’appello non abbiano proceduto a verificare effettivamente, ed in concreto, le condizioni per riconoscerne o negarne l'aumento, perché essi, non correttamente, hanno applicato un errato metodo di quantificazione equitativa (utilizzata dal giudice di prime cure) del danno “morale” appunto come frazione o percentuale del danno biologico.

Con la pronuncia in esame è stato quindi formulato il principio di diritto secondo cui “ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sez. Un. n. 26972 del 2008, non comporta che, accertato il secondo, il primo non abbia bisogno di alcun accertamento, perché se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi. Il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l’accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell’esistenza del pregiudizio subito, attraverso l’individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti dai quali lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro”.

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